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Che c’entra Greta Thunberg con Bono Vox #milapersiste

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di Mila Mercadante #Milapersiste twitter@gaiaitaliacom #milapersisteilblog

 

Il 2 maggio Wired ha pubblicato un articolo che bacchetta i soliti complottisti, i quali avrebbero individuato in Luisa Nuebauer la manager di Greta Thunberg. La ventiduenne tedesca Nuebauer probabilmente non è la manager di Greta ma ciò non ha alcuna importanza. Insieme a tanti altri ragazzi e ragazze le due attiviste condividono i medesimi obiettivi, quelli che anche l’ONU si propone di raggiungere entro il 2030 e che riguardano anche i cambiamenti climatici. Come ricordiamo tutti, il 2030 è la data ultima prima della fine del mondo paventata da Greta. Non ce l’ho certo con Greta, è troppo giovane e provo tenerezza per la serietà con cui affronta il compito che le è stato affidato dagli adulti. Per me lei è pulita, estranea al coagulo di scopi desolanti che si può intuire alle sue spalle. Luisa Nuebaurer è stata notata perché è una dei tanti giovani ambasciatori di ONE campaign: in sostanza, manager o non manager non vi è nulla che distingua le due attiviste (piacciono a tutti gli organismi politici e finanziari che davvero contano sulla terra) se non l’eccesso di attenzione mediatica su una sola di esse.

Che cos’è ONE campaign? Un’associazione non profit creata nel 2004 da undici organizzazioni umanitarie tra le quali la DATA di Bono Vox, il divo degli U2 oggetto di numerose critiche e ispiratore di libri che lo ritraggono per ciò che è: un superdotato dal punto di vista canoro e un abile uomo d’affari, “culo e camicia” coi potenti della terra, ai quali presta la sua notorietà. Su Wired il giornalista Gianluca Dotti sostiene che i complottisti, e in generale tutti coloro che cercano il torbido anche laddove il torbido non c’è, abbiano fatto confusione tra la ONE Foundation – che è cinese – e la ONE campaign. Non è esattamente così. ONE campaign e ONE action sono settori differenti e complementari di un’unica associazione che si chiama proprio ONE , la cui fusione con la DATA di Bono è avvenuta nel 2007. Esiste ancora un altro settore di ONE campaign che si chiama RED, sempre fondata da Bono. RED è un marchio (rosso) che contraddistingue diversi prodotti in commercio: chi li compra contribuisce al raggiungimento degli obiettivi, che riguardano fame nel mondo, lotta a AIDS, tubercolosi e malaria, promozione dell’istruzione, sviluppo dei paesi Africani con particolare attenzione alla cancellazione del debito, promozione dei vaccini per allargare l’immunizzazione nei paesi più poveri (Gavi Alliance).

I contributi per la ONE arrivano – tra gli altri – da Bill e Melinda Gates Foundation, famiglia Buffett, Bloomberg Philanthropies, naturalmente Bono degli U2 (che è anche membro del consiglio di amministrazione), Google, Open Society Foundations, Open Society Policy Center, Coca Cola Company, Bank of America, Apple, Netjets, Piaggio, Lokai eccetera eccetera. ONE è tenuta in piedi da un consesso di arcimiliardari e tra i suoi membri non mancano presenze illustri del mondo della politica come Condoleezza Rice o David Cameron. In rappresentanza dei paesi poveri che l’associazione si propone di aiutare ci sono solo due africani che naturalmente sono tutt’altro che poveri: uno è industriale della telefonia mobile e l’altro è ex AD della Banca Mondiale. Wired fa notare che tutte queste informazioni non sono oscuri segreti ma sono accessibili a chiunque. Che discorso è? Si tratta semplicemente di filantropia, no? Anzi, è un gran bene che se ne parli, alla faccia dei malpensanti. La forza di coercizione, le guerre, le destabilizzazioni non bastano per raggiungere i risultati, è necessario gestire la percezione attraverso tutti gli artifici mediatici possibili, filantropia compresa. La bontà serve a coprire le cause dell’iniquità. Che importanza ha il fatto che solo l’1,2% di tutti i soldi destinati da ONE ai poveri africani arrivi a destinazione? E che cosa importa se gli investimenti spesso non salvano nessuno dalla povertà? Bono è il portavoce abusivo degli africani ma rappresenta e aiuta i ricchi, ha completamente depoliticizzato il problema che afferma di voler risolvere e – come spiega molto efficacemente Harry Browne nel suo libro “The Frontman” – fa funzionare tutto per bene per sé e i suoi amici togliendo spazio politico e voce a chi dovrebbe poter parlare: i diretti interessati.

Cosa c’entra Bono Vox con Greta Thunberg e la lotta per salvare il clima? Apparentemente proprio niente. Al di là delle chiacchiere e dei sospetti sono entrambi “delegati emotivi significativi”. Il gioco è sempre lo stesso: i temi sono veri e importanti, i delegati a rappresentarli sono personaggi – alcuni già molto noti – in grado di catturare l’attenzione e la curiosità, soprattutto dei giovanissimi, e nello stesso tempo di legittimare i governanti. Una questione di metodo rende possibile una forma di gemellaggio tra il modo in cui l’occidente affronta il problema della povertà da un lato e l’urgenza climatica dall’altro. La finanza globale investe nei movimenti di lotta o di resistenza e poi assume il controllo dall’interno, fungendo da ammortizzatore. Si tiene in piedi una realtà in cui non c’è posto per il conflitto di classe, per la ribellione, per un processo di cambiamento delle condizioni che generano ingiustizia sociale, sfruttamento, danni ambientali. Niente politica, le Fondazioni risolvono tutto, sono entità legali imbottite di denaro, non pagano le tasse e dispongono di competenze e poteri quasi senza limiti. Per questo è possibile che uno come Bill Gates possa progettare politiche agricole o sanitarie o ambientali in qualunque paese povero del mondo. Poiché in alcuni casi le fondazioni ottengono anche dei buoni risultati è complicatissimo contestarne il ruolo, sia per le minoranze politicizzate che criticano il post-colonialismo sia per quanti beneficiano degli aiuti, che non possono e non devono essere parte in causa perché sono gli unici che potrebbero scagliare la prima pietra.

 

IL DEBITO CRESCE

Sul sito di ONE uno dei fiori all’occhiello indicati riguarda il raggiungimento di obiettivi di trasparenza nel campo delle attività di sfruttamento di risorse naturali in Africa: grazie alle campagne di sensibilizzazione dell’associazione, i colossi francesi Total in Angola (petrolio) e Areva in Niger (uranio) nel 2016 hanno finalmente reso pubblici i pagamenti ai governi per ognuno dei loro progetti. Tuttavia, qualcosa contraddice l’idea che l’obiettivo sia stato realmente centrato: si legge sul sito che nei rapporti pubblicati dalle due multinazionali manca l’accesso a molti dati, e quelli presentati non sono né confrontabili col passato né interpretabili da chi non abbia competenze tecniche. Infine, si deve tener conto del fatto che il diritto francese vigente protegge a dovere gli affari delle sue multinazionali. La realtà è che sfruttare le risorse dei paesi poveri permette alle multinazionali di vendere altrove beni che non hanno dovuto neanche comprare. La realtà è che i cittadini dei paesi che ricevono aiuti non sono a conoscenza delle modalità con cui i fondi vengono utilizzati, distribuiti o fatti sparire. Un altro successo vantato da ONE riguarda la Gavi Alliance, che come ho già detto promuove l’allargamento dell’immunizzazione da numerose malattie nei paesi più poveri. Purtroppo l’ottenimento degli aiuti finanziari per vaccinare la popolazione è subordinato al versamento di contributi sul costo di ogni vaccino: un’imposizione che ha ben poco a che fare con i princìpi che ispirano le campagne sulla salute degli ultimi. L’immunizzazione fa parte degli OSM, Obiettivi di Sviluppo del Millennio, un’iniziativa delle Nazioni Unite per la quale nel 2005 i paesi del G8 stabilirono di destinare fondi alla Banca Mondiale, al FMI e alla Banca per lo Sviluppo dell’Africa in modo da poter raggiungere entro il 2015 la cancellazione del debito dei paesi più poveri. Qualcosa dev’essere andato storto, visti i risultati: i paesi poveri hanno costantemente bisogno di prestiti che servono a pagare il debito e il debito in questo modo aumenta, non si estinguerà mai.

 

 





(12 maggio 2019)

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